Bugatti Tipo 35 B

(Vincitrice della Targa Florio dal 1925 al 1929 con Wagner, Costantini, Materassi e due volte Divo)

“Artista e ingegnere, Bugatti tentò più volte di fondere in una vettura bellezza e capacità di vincere. Dopo alcuni insuccessi, nacque la Tipo 35, dalla linea eccentrica e geniale.”

Bugatti Tipo 35 B (1927) - Scheda tecnica Bugatti 35 T Bugatti 35 T - Particolare del motore Bugatti 35 T - Particolare della ruota Bugatti 35 T - L'abitacolo Malcom Campbell su Bugatti 35 al GP di Boulogne del 1927

 Ettore Bugatti aveva preso molto sul serio il Gran Premio dell’Automobil Club di Francia del 1924 che si svolgeva a Lione. Era infatti giunto sul posto con una squadra di nuovissime vetture da corsa, accompagnate da un notevole seguito: trenta tonnellate di parti di ricambio (caricate su tre vagoni ferroviari e due autocarri con rimorchio), tende di lusso con posti letto per 45 persone, docce e attrezzature da cucina. Senza contare la roulotte di famiglia a quattro ruote con pannelli intarsiati.

Una simile carovana non poteva certo passare inosservata. Naturalmente furono soprattutto le 6 vetture da corsa (che giunsero con mezzi propri in fila indiana dietro all‘auto pilotata da Ettore Bugatti in persona) ad attrarre l’attenzione del pubblico. Fu quello il debutto ufficiale della Bugatti Tipo 35, da molti considerata, per la purezza della linea, la Bugatti più bella.

Dato che la Tipo 35 risultò anche meccanicamente assai migliore delle precedenti 8 cilindri proposte dalla Casa di Mulsheim, si potrebbe dedurre che Ettore Bugatti avesse assunto nell’ultimo periodo tecnici particolarmente abili. Le cose non stanno invece così. Bugatti era solito servir si di ingegneri e disegnatori tanto qualifica ti quanto capaci di tenersi in disparte. Le patron’ scarabocchiava in continuazione su pezzi di carta o sul rovescio di buste, che poi si ficcava in tasca: una fiumana di schizzi frettolosi, Il compito, a volte scoraggiante, del personale tecnico consisteva proprio nel trasformare questo mucchio di sgorbi in regolari disegni meccanici.

Molto tempo prima della progettazione al computer, Bugatti fu dunque capace di creare un disegno visivamente soddisfacente sotto qualunque prospettiva e nel quale forma e funzionalità erano strettamente connesse. La Tipo 35 è un ottimo esempio di questa filosofia progettuale: tutti gli elementi della carrozzeria e del telaio erano infatti fusi in un insieme omogeneo ed esteticamente valido. Vista in pianta, la Tipo 35 presentava un’elegante linea aerodina mica, con il punto di massima larghezza in corrispondenza dell’abitacolo biposto. La carrozzeria si rastremava poi anteriormente fino allo stretto radiatore dalla caratteristica forma a ferro di cavallo. l stesso radiatore, visto in pianta, aveva una linea affusolata, come del resto la coda della vet tura, molto corta e che, sempre vista in pianta, terminava a punta.

A parte i bracci anteriori e le molle della sospensione, il telaio era interamente nascosto dai pannelli della carrozzeria, I longheroni longitudinali, poi, non solo erano sagomati in modo da seguire le variazioni in larghezza della carrozzeria, ma avevano anche spessori diversi, passando dai 19 mm della parte anteriore ai 175 mm di quella centrale, concentrando così la robustezza nel punto più vitale. Le balestre anteriori, sporgenti, erano a foglie piatte, fissate strettamente insieme e agganciate posteriormente a un perno di articolazione invece che al tradizionale biscottino che avrebbe potuto permettere un gioco laterale. Inoltre, la molla a balestra passava attraverso il centro dell’assale tubolare anteriore che, grazie a una vera finezza tecnica, era a doppio diametro, pur essendo ricavato da un solo pezzo.

Un’altra brillante soluzione della Tipo 35 era costituita dal le ruote in alluminio, a 8 razze larghe e piatte, con freni integrali a tamburo. Le prime vetture ebbero cerchioni smontabili tenuti in posizione da viti di arresto, un sistema di dubbio valore clic fu subito scartato. Le ruote dimostrarono comunque di essere il tallone di Achille di questa vettura, benché Ettore Bugatti ten tasse di incolpare soprattutto la Dunlop responsabile, a suo giudizio, di una vulcanizzazione non eseguita a dovere.

I problemi alle ruote e ai pneumatici fecero sì che soltanto due Bugatti riuscissero a finire il GP di Francia del 1924, in 7 e in 8 posizione. Questo debutto poco favorevole non fu però un cattivo presagio, per ché la Tipo 35 nella sua carriera riuscì a vincere qualcosa come 1800 corse. Le ruote in alluminio della Bugatti, oltre all’esteti ca piacevole, avevano il grande vantaggio di un costo notevolmente inferiore rispetto a quelle a raggi. Inoltre non avevano bisogno di quella lunga e frustrante registrazione dei raggi necessaria per assicurare alla ruota una perfetta concentricità. Infine dovevano servire a conferire alla vettura una certa classe. Questo probabilmente spiega perché la Tipo 35A, meno costosa, avesse le ruote a raggi

Oltre a buone idee come quella delle ruote in alluminio. Bugatti adottò più di una volta soluzioni così poco ortodosse da rasentare l’eccentricità. Questa tendenza al l’originalità è riscontrabile in molti dei suoi motori, nei quali i problemi della lubrificazione e del raffreddamento erano trattati con una certa noncuranza.

Questo risultò evidente nel motore della Tipo 35 che derivava dal progetto del motore d’aeroplano U 16, disegnato da Bugatti durante la I Guerra Mondiale.

Attratto dall’attualità che gli eventi belli ci avevano attribuito alla nascente aviazione, Bugatti, a quei tempi a Parigi, aveva deciso di impegnarsi attivamente nel setto re dei motori per aereo, concorrendo alle qualificazioni governative con due progetti: un 8 cilindri di 250 CV, la cui licenza di riproduzione fu poi attribuita in Francia alla Delaunay-Belleville e in Italia alla Diatto, e un 16 cilindri di 500 CV.

Questo secondo motore, ottenuto affiancando due bancate parallele di 8 cilindri ciascuna e collegando i 2 alberi a manovelle trami te ingranaggi, non suscitò l’interesse del governo francese. Fu così ceduto a quello americano, clic ne incoraggiò una lunga sperimentazione presso la Duesenberg Motors Corp.

11 fedele meccanico-scudiero Friderich fu inviato negli Stati Uniti per assistere la Duesenberg nei primi collaudi e nello sviluppo del progetto che, malgrado vistose modifiche introdotte dai tecnici americani per Facilitarne la produzione su scala industriale e aumentarne la sicurezza di funzionamento (tra queste, la lubrificazione sotto pressione, alla quale Bugatti era contrario), ebbero esito negativo.

Quest’episodio, se segnò u i insuccesso di Bugatti come progettista, non ne sminuì il ruolo di caposcuola di una tendenza stilistica del disegno motoristico. L’estremo individualismo che Bugatti riuscì a trasferire nel disegno meccanico delle proprie realizzazioni (anche più tardi, quando furono filtrate dal lavoro di un ufficio tecnico) si espresse sempre attraverso forme geometri che semplici, realizzabili con macchine utensili ad avanzamenti ortogonali.

Creando in fabbrica uno straordinario clima d’orgoglio per il lavoro ben fatto e attribuendo a queste forme geometriche gli equilibri, i rapporti e il grado di finitura richiesti da una sua innegabile estetica industriale, Bugatti manifestò uno stile che fu talvolta contraddittorio con le leggi della aerodinamica e clic, in ogni caso, si discostava irrimediabilmente, al livello dei principi primi, dalla filosofia produttiva di scuola americana. Credeva nella manualità con uno spirito da orafo che conosce l’importanza dei buoni utensili e, disdegnando le morse disponibili in commercio, giunse al punto di equipaggiare la fabbrica con morse di precisione, marcate Bugatti ed eseguite su suo disegno. I suoi motori furono così la manifestazione ultima del compiacimento per la macchina rifinita a mano, e quando ancora vincevano le gare, come ha notato un critico inglese, potevano già esser considerati, da un punto di vista produttivo, vecchi di dieci anni.

La contraddittoria esperienza con i motori d’aereo fu tuttavia alla base dei più conosciuti motori d’automobile della Bugatti. LU 16 rappresentò infatti, in un certo modo, il gigantesco prototipo dei motori a 8 cilindri in linea che culminarono con quello montato sulla Tipo 35.

Il tema del motore a 8 cilindri era stato in realtà esplorato da Bugatti sin dal 1913, accoppiando in linea 2 motori della Tipo 13. La prima 8 cilindri posta in vendita e fatta scendere in gara con un certo successo fu però la 2 litri tipo 30 del 1922.

Nei Gran Premi, l’aggressività delle Fiat e delle Sunbeam sovralimentate mise però ben presto in difficoltà la Tipo 30 ad alimentazione atmosferica. Anche il tentativo di vestire l’8 cilindri con una carrozzeria avvolgente tipo ‘tank’, ispirata alle ricerche dell’amico Gabriel Voisitì, si rivelò una delusione tecnica ed estetica. Il motore (che aveva solo 3 cuscinetti di banco per ben 8 cilindri!) si rivelò troppo fragile; la carrozzeria mostrò poi la tendenza ad alzarsi in volo alla velocità massima.

Bugatti dedicò l’inverno 1923-1924 a un completo riesame del progetto. convincendosi della necessità di aggiungere al moto re 2 supporti di banco e di rivedere lo schema della lubrificazione. Per la Tipo 35 Bugatti impiegò così 5 cuscinetti a sfere e un elaborato albero composto, lubrificato da getti pressurizzati (a circa 1,02 atmosfere) mediante una pompa a ingranaggi clic aspirava l’olio da una coppa d’alluminio. La coppa, dotata di alettature di raffredda mento ricavate per fusione, era attraversata da 1 3 tubi di rame destinati ad aumenta re l’effetto raffreddante. Nell’albero moto re non erano previste canalizzazioni per l’o ho; in compenso l’olio iniettato sotto pressione era intrappolato da scanalature anulari e proiettato dalla forza centrifuga sui cuscinetti a sfere e a rulli.

Il sistema a pompa immersa era pericolosamente condizionato dal sensibile sposta mento dell’olio in curva. Lungo percorsi tortuosi come quelli previsti dalla Targa Florio di quegli anni, i meccanici doveva no spesso controllare il manometro dell’olio. L’ago poteva improvvisamente scende re a zero; il meccanico doveva allora azionare la pompa a mano sistemata sulla pare te dell’abitacolo per inviare nella coppa o ho fresco dal serbatoio di riserva.

Il motore della Tipo 35 era composto da due blocchi (schema già usato sullo sfortunato U16) che avevano in comune il coperchio della distribuzione. Caratteristico di questo motore era anche l’ordine di accensione che, a partire dal cilindro anteriore, era 1-5-2-6-3-7-4-8 e determinava lo strano ed esclusivo rumore di scarico di questa famosa vettura.

Pure tipicamente Bugatti era la sdegnosa noncuranza per il raffreddamento. Le corte guide delle valvole avevano infatti un contatto minimo con l’acqua, mentre le 8 candele montate nel metallo massiccio sul lato aspirazione della testa del cilindro non vedevano assolutamente l’acqua di raffreddamento. Il disegno della testata e ra tipico dell’anticonformismo tecnico di Ettore Bugatti. Infatti, egli era convinto che fosse molto più critica la fase di scarico piuttosto clic quella d’aspirazione: di conseguenza, al contrario della pratica consueta, ogni cilindro della Tipo 35 aveva due piccole valvole di aspirazione e una unica valvola di scarico di dimensioni tali da richiedere una consistente modifica del la camera di combustione.

I limiti di questa soluzione Furono subito evidenti, tant’è che sulla successiva versione, la tipo 35B, fu necessario ricorrere alla sovralimentazione per ottenere un aumento di potenza.

Il compressore adottato fu un Roots a tre lobi, azionato alla stessa velocità del motore da un treno di ingranaggi: la miscela aria-benzina, aspirata da un carburatore Zenith verticale, veniva mandata, attraverso un manicotto di aspirazione separato riscaldato ad acqua, a ciascun blocco dei ci lindri alla pressione di 0,68 atmosfere. Le Tipo 35 senza compressore adottarono in vece due earburatori, di solito Solex, sebbene la vettura clic vinse la Targa Florio nel 1926 fosse equipaggiata con due carburato ri dell’italiana Zenith. Il motore della Tipo 35 da 2 litri senta compressore erogava cir ca 90 CV contro i 120 CV circa del motore con compressore.

Tenere la Tipo 35 su di giri era un’ossessione di Ettore Bugatti. La frizione a dischi n’multipli a bagno d’olio, essendo di piccolo diametro, non creava infatti alcun ‘effetto volano’. Essa era sistemata all’interno del lo stretto abitacolo, protetta solo da un sottile coperchio di alluminio destinato probabilmente a impedire che ci si infilassero dentro i piedi.

Anche il sistema di accensione era tipica- niente Bugatti. Dietro la scatola angolare in alluminio delle camme, vi era un alloggiamento di bronzo contenente un ingranaggio riduttore clic trasmetteva il movimento al magnete attraverso un giunto uni versale di cuoio: il coperchio del distributore del magnete (per 8 cilindri) sporgeva dal cruscotto della vettura. Un particolare ingegnoso dell’accensione era il meccanismo di anticipo e di ritardo controllato da una leva che lavorava in una fessura dentellata posta accanto al distributore.

Il contagiri meccanico era azionato dal l’albero del magnete per mezzo di una cinghia di cuoio: ai loro tempi le Bugatti raggiungevano i 5500 giri/min, un regime stupefacentemente alto per quei giorni. Oggi, grazie ai miglioramenti apportati ai materiali e ai lubrificanti, una Bugatti potrebbe raggiungere il regime di 7000 giri e una velocità massima di oltre 200 km/h. Il cambio a ingranaggi diritti era comandato da una leva a mano sul fianco destro della vettura. C’era un’ampia disponibilità di rapporti al ponte, la cui scelta dipendeva dal fatto che la Tipo 35 partecipasse a gare di velocità oppure a gare in salita.

La Tipo 35 e le versioni derivate erano così ben costruite che non avevano bisogno di guarnizioni; quelle a tenuta d’olio erano montate soltanto sugli alberi.

Che la Tipo 35 fosse una vettura efficiente fu dimostrato non tanto da quella miriade di vittorie nelle gare ‘solo Bugatti per ragazzi e ragazze, ma per la brillante serie di successi ottenuta contro avversari accreditati nelle edizioni della Targa Florio svoltesi tra il 1925 e il 1929. La Targa Florio era una gara massacrante anche sul percorso utilizzato in quegli anni, il cosiddetto ‘medio circuito delle Madonie (108 km). I concorrenti dovevano percorrere 5 giri del tormentato circuito, per un totale di 540 km, e affrontare centinaia di curve. Nel 1925 le principali rivali della Bugatti furono le Peugeot di 4 litri con distribuzione a camicia mobile pilotate da Boillot, Dauvergne e Wagner. A dire il vero, il cammino di Meo Costantini verso la vittoria con la Tipo 35 fu notevolmente facilitato dalla sfortuna che colpì gli avversari. Boillot ebbe noie alle gomme, Dauvergne sbandò e Wagner si fermò per aiutarlo...

La Targa Florio del 1926 fu caratterizzata dalla serrata lotta fra la Delage V12 sovralimentata e la Peugeot. Costantini e il suo compagno di squadra Minoia presero tuttavia rapidamente il comando della gara con le loro Bugatti che dimostrarono quanto la loro tenuta di strada fosse superiore a quella delle basse Delage. Il pioniere del giornalismo automobilistico W. F. Bradley ricordò così la gara: «Mentre Costantini sembrava essere una cosa sola con la sua vettura e mostrava poco sforzo nel piazzar la sempre dove voleva, Frenando vigorosa mente e fermamente, non sbandando mai e accelerando con rapidità, il suo avversa rio René Thomas passava imbronciato, di mostrando chiaramente di non essere soddisfatto della sua Delage, mentre Benoist lottava con il volante in un modo certo inusuale...». Quando il conte Giulio Masetti, su Delage, si rovesciò e si uccise alle porte del villaggio di Caltavuturo, la squadra Delage si ritirò in segno di lutto, lasciando la vittoria a Costantini. E interessante notare che su 33 partenti 8 erano al volante di una Bugatti e che 7 di quelle Bugatti finirono la gara in tempo massimo insieme a 5 sole vetture delle altre marche.

Nel 1927 su 8 corridori giunti ufficialmente al traguardo, 5 pilotavano le Bugat ti, compreso il vincitore Materassi. Nel 1928-1929 9 concorrenti su una dozzina di arrivati erano alla guida di una Bugatti; Divo, primo classificato, pilotava una Bugatti di 2,3 litri.

L’ultima vittoria delle Bugatti alla Targa Florio avvenne nel 1929, quando fu scelto il percorso di Polizzi, un anello di 107,8 km. Le Bugatti di Divo e di Minoia giunsero al traguardo davanti alle Alla Romeo di Brilli Peri e di Campari. mentre nessun altro corridore riuscì a terminare la gara in tempo massimo.

Nel 1930 l’Alfa Romeo di Achille Varzi, la celebre P 2, spezzò l’egemonia delle Bugatti, giungendo al traguardo con poco più di 1 minuto di vantaggio (dopo quasi 7 ore di gara) sulla Bugatti di Chiron. Giù un anno prima, lo stesso Bugatti era stato costretto ad ammettere che le sue vetture, con distribuzione a un solo albero a camme in testa, erano giunte alla fine del loro sviluppo. Proprio in quell’anno, una Miller Tipo 91, una vettura americana a trazione anteriore guidata da Léon Duray, aveva effettuato al GP di Monza il giro più veloce, alla media di 190 km/h. In quell’occasione, Bugatti aveva avuto modo di notare co me il propulsore della Miller, un 8 cilindri in linea di 1500 cmc con 2 alberi a camme in testa (280 CV a 8500 giri/min, con compressore), presentasse più di una somiglianza con i suoi motori. Propose allora di scambiare tre delle sue nuove vetture Tipo 43 Gran Sport con due 91. Portate poi le vetture americane a Molsheim, le analizzò attentamente.

Un anno dopo, nel 1930, la Bugatti lanciava la Tipo 50, una 5 litri con distribuzione bialbero che presentava una testa cilindri praticamente identica a quella montata sul motore della 91. Dotata di compressore e di 2 carburatori, la Tipo 50 introduceva un’altra primizia tecnica: l’uso di 2 valvole per cilindro a V, invece delle 3 verticali adottate dai motori Bugatti sino ad allora. Fu quella la linea di sviluppo che avrebbe condotto alla Tipo 57, la Bugatti a 2 alberi a camme in testa che avrebbe scritto una così splendida conclusione della storia del la Casa di Molsheim. Pur essendo stata presentata nel 1934, in piena crisi economica, la Tipo 57 fu un successo clamoroso. Ne furono costruiti circa 750 esemplari, la ci fra più alta di tutta la produzione Bugatti. Bisogna tuttavia riconoscere che, se la Tipo 35 rappresentò l’apice del genio di Etto re Bugatti, la Tipo 57 fu la creatura del figlio Jean. Jean Bugatti ne curò infatti la messa a punto, vi apportò le necessarie modifiche, realizzò le carrozzerie più eleganti e raffinate.

Questa vettura avrebbe dovuto inaugura re una nuova generazione di Bugatti, gene razione che non vide mai la luce a causa dell’improvvisa morte di Jean, nell’agosto 1939, in seguito a un banale quanto tragico incidente durante un collaudo. La guerra e, nel 1947, la scomparsa di Ettore Bugatti fecero il resto.

Sotto la direzione di Pietro Marco, uno dei fedelissimi di Bugatti, l’azienda, al termine del conflitto, tentò di rientrare nel mercato automobilistico e realizzò una vet tura di lusso, la Tipo 101. largamente basata sulla Tipo 57. Ma la nuova realtà non aveva più spazio per vetture come la Bugat ti, né era possibile tenerne vivo il mito, dopo la scomparsa del suo ispiratore.