Lancia Aurelia

(Vincitrice della Targa Florio nel 1953 e 1954 con Maglioli "B20" e Taruffi "D24")

La struttura. Felice Bonetto con la D 20, una berlinetta con motore 6 V di 2962 cmc, al termine della Mille Miglia del 1953. Una D 20 sovralimentata a Le Mans nel 1954.
L'Aurelia B 24 Spider, capolavoro di Pinin Farina. La brillante versione dell'Aurelia in una creazione di Vignale. L'elegante frontale dell'Aurelia GT, con il caratteristico radiatore. La linea della GT è dovuta a Pinin Farina, per lungo tempo carrozziere della Lancia.

Si racconta che Vincenzo Lancia ebbe un’intuizione destinata a rivoluzionare il mondo dell’industria automobilistica una volta che, navigando sul lago di Como, fu sorpreso da un temporale: mentre il vento infuriava le onde sbattevano contro lo scafo della sua imbarcazione, Lancia si rese conto di  quanto più forte fosse lo scafo di acciaio del telaio delle auto che lui fabbricava. Per cinque anni studiò il problema di come realizzare una vettura solida come la struttura guseiforme di una barca, finché un giorno del marzo 1921 radunò i suoi tecnici e annunciò che intendeva fabbricare un modello completamente nuovo. Essi confermarono uno dei suoi maggiori timori, cioè che un’auto dotata di telaio veramente rigido sarebbe stata praticamente inguidabile, con le sospensioni ad assale rigido con balestre tanto apprezzate negli anni Venti. In particolare le ruote anteriori avrebbero continuato a saltare e rimbalzare da un’irregolarità all’altra del fondo stradale, con forti reazioni al volant con seguente difficoltà di controllo della vettura. Un giovane tecnico, Battista Falchetto, lavorò giorno e notte per disegnare 14 sistemi di sospensioni anteriori indipendenti, fra i quali Vincenzo Lancia scelse quello a montante telescopico con molla elicoidale, già adottato dalla Morgan, perché potenzialmente più confortevole e più sicuro nella eventualità della rottura di una molla. Fu così che nacque il primo capolavoro Lancia, la Lambda.

 L’aerodinamica costituiva uno dei settori più coltivati da Vincenzo Lancia e la sua esperienza nautica gli fu d’indubbio nel tradurre in pratica le sue idee in merito. Il risultato fu un’altra grande automobile, la bella Aprilia, dotata di una carrozzeria somigliante a una barca capovolta, che venne brevettata nell’aprile 1934. Ancora una volta era stato Falchetto a tradurre in pratica le ‘intuizioni’ del ‘patron’. Vincenzo Lancia morì nel 1937, ma la sua Aprilia e la sua sorella minore, l’Ardea, sopravvissero alla guerra, lasciando alla Lancia un’eredità tecnica irraggiungibile per gli altri. E c’era anche Vittorio Jano, probabilmente il migliore ingegnere motoristico d’italia, mandato in pensione dall’Alfa Romeo. Fu Jano, con il suo giovane e brillante assistente, Francesco De Virgilio, a dare vita alla terza grande lancia, l’Aurelia.

E difficile decidere dove cominciare a elencare le innovazioni introdotte dall’Aurelia. Fu una delle prime auto al mondo a usare pneumatici radiali (i Michelin X), ma in modo particolare l’Aurelia può esse re considerata come la prima auto di produzione equipaggiata con motore a 6 cilindri a V e, nella configurazione B20, la prima vettura GT del mondo.

Le caratteristiche avanzate dell’Aurelia erano dettate dal desiderio di Gianni Lancia, figlio di Vincenzo, di seguire la via del padre. Invece di dare semplicemente una rinfrescata all’Aprilia, la più richiesta sul mercato tra le vetture da turismo veloci e comode, decise, fin dal 1943, che essa avrebbe dovuto venire rimpiazzata da un modello completamente nuovo, che fosse ancor più comodo senza sacrificare alcuna delle qualità esistenti. La soluzione ipotizzata era di accrescere la disponibilità di spazio interno senza aumentare le dimensioni esterne, intervento che avrebbe reso meno maneggevole la nuova auto. Sarebbe stato auspicabile anche un motore a sei cilindri, per ottenere un funzionamento più morbido senza un calo nelle prestazioni, dato che la carrozzeria prevista era sì più lussuosa, ma anche più pesante. Il problema era dove trovare lo spazio necessario per alloggiare i due cilindri in più occorrenti per trasformare te il 4 V in un 6 V Qualcuno ricordò che Vincenzo Lancia aveva effettuato esperimenti con un motore a V di 6 cilindri già nel 1924, quando aveva in mente esattamente lo stesso scopo per la Lambda. Quel motore era finito al museo della Casa, perché, come altri tentativi di realizzare un 6 V, era risultato difficile equilibrare le forze alternate del 1° e 2° ordine. Gli ingegneri si erano sempre tenuti alla larga dai motori con 6 cilindri a V per questo motivo, una carenza sottolineata dalla estrema morbidezza di funziona mento di un motore a 6 cilindri in linea, caratterizzato da un perfetto equilibrio primario e da un quasi perfetto equilibrio delle forze di 2° ordine, De Virgilio, però, continuò a interessarsi del 6 V, che rappresentava l’unica possibilità di fornire più potenza e più coppia senza richiedere indesiderati allungamenti del motore e quindi del relativo vano. Egli, inoltre, vedeva altri vantaggi nel 6 V come, per esempio, un basamento molto più rigido di quello di un 6 cilindri in linea. Furono condotti esperimenti con varie angolazioni, tra 40° e 50°, dei blocchi contrapposti di cilindri per rendere il motore più compatto possibile, e alla fine la Lancia scelse un 6 cilindri a V di 45° con cilindrata di 1569 cm (68 mm x 72 mm), che venne installato a bordo di un prototipo Aprilia del 1947.

D’accordo con il carrozziere di fiducia della Lancia, PininFarina (la modificazione del cognome in Pininfarina sarebbe avvenuta più tardi, nel 1961), Jano scelse la soluzione della carrozzeria con portiere ‘ad armadio’, senza montante centrale, che offriva la più facile e comoda accessibilità all’abitacolo. Ciò richiedeva una struttura unitaria relativamente pesante per la carrozzeria al fine di mantenere quella rigidità caratteristica della produzione Lancia; la rigidità era ancor più importante in quanto la nuova auto doveva mantenere la filosofia di base dell’Aprilia con le ruote poste proprio alle estremità della vettura per una migliore maneggevolezza, che grazie all’adozione di un passo lungo (284 cm), avrebbe garantito una maggiore comodità di viaggio. Si risparmiò sul peso, dove era possibile, realiz7ando portiere e cofano del motore e del bagagliaio in lamiera d’alluminio. Va ricordato che l ‘Aurelia fu la prima Lancia ad avere fiancate continue, senza pedane.

Altre buone caratteristiche, come i freni idraulici e i cardini interni delle portiere, che avevano suscitato tanta sensazione sull’Aprilia, vennero mantenute anche sull’Aurelia. unitamente alla sospensione anteriore ad ammortizzatore idraulico telescopico montata su una traversa in acciaio, che era imbullonata sulla scocca con l’impiego di boccole Silentbloc.

Pur non avendo preoccupazioni particolari in merito al peso complessivo di un’auto da turismo, l’ingegner Jano cercò, a ragione, di rendere minime le masse non sospese, spostando all’interno, accanto al differenziale, i freni delle ruote motrici. Il differenziale era in blocco con cambio e frizione, secondo lo schema usato dallo stesso Jano nel suo ultimo progetto per l’Alfa Romeo, la vettura 12 cilindri Grand Prix del 1936.

I passeggeri stavano seduti relativamente in alto a quell’epoca, cosicché il problema di sistemare frizione, cambio e differenziale in blocco sotto il divanetto posteriore non incontrò le difficoltà che si sarebbero manifestate una ventina di anni dopo. Notevole stupore destò l’ampio spazio del pavimento privo di ostacoli, consentito dalle dimensioni compatte del motore e dall’assenza del coperchio della frizione sul davanti. L’Aurelia venne intatti dotata di una panchina anteriore in grado di accogliere tre persone affiancate e di un divanetto posteriore di dimensioni analoghe, sistemazione resa possibile da un tunnel appena pronunciato. Così fu possibile accomodare da 5 a 6 persone a bordo di un’auto non più alta di un metro e mezzo, pur mantenendo un’altezza da terra accettabile.

Per compensare il peso della carrozzeria, basamento motore e scatola della trasmissione erano in lega d’alluminio. La rigidità veniva mantenuta fondendo in un blocco unico le due bancate con la parte superiore del basamento, mentre un altro pezzo, dotato di alette esterne per favorire il raffreddamento, costituiva la coppa del l’olio e la parte inferiore del basamento. Le teste cilindri e i coperchi delle punterie erano anch’‘essi in alluminio, con canne dei cilindri in ghisa del tipo ‘umido’, cioè a contatto diretto con l’acqua di raffreddamento. Un unico albero a camme comandato con una catena azionava le valvole mediante aste, con bilancieri corti che agivano longitudinalmente allo scopo di ridurre la larghezza totale del motore. Le valvole di ogni singolo cilindro erano di conseguenza inclinate in modo opposto, affacciate ciascuna su una luce separata di una camera di combustione emisferica. Il carburatore era un Solex doppio corpo; il corto albero a gomiti, controbilanciato, era montato su quattro supporti. La preoccupazione per il raffreddamento da parte della Lancia era ulteriormente sottolineata dalla presenza di due enormi camere di raffreddamento, che contenevano tanta acqua da rendere necessari due termostati per il radiatore, uno dei quali comandava delle persianine che consentivano di arrivare alla temperatura di regime in modo abbastanza rapido.

L’ultimo tocco di genio era costituito dal le sospensioni posteriori; per queste si nutriva infatti una notevole preoccupazione a causa dell’usura dei giunti cardanici dei semialberi motori uscenti dal differenziale montato sulla scocca. Sull’Aurelia i semialberi motori vennero resi quanto più possibile lunghi, in modo che per una determinata flessione verticale delle ruote, il movimento angolare dei giunti fosse ridotto al minimo. Ciò richiese di far passare i semialberi attraverso tutto il mozzo fino all’esterno del disco delle ruote posteriori, coperto da coppe.

Il cambio al volante, a quattro rapporti, costituiva una novità per la Lancia, e si ispirava alle abitudini americane, come pure gli strumenti a cifre verdi e il volante in plastica bianca: tutto il resto era, però, squisitamente europeo.

Questa sensazionale nuova vettura, contraddistinta dalla sigla B 10, fu presentata al Salone di Torino nell’aprile 1950. Il motore aveva un rapporto di compressione relativamente basso (6,85:1), perché in Europa la qualità della benzina era ancora scadente, e di conseguenza riusciva a erogare soltanto 56 CV a 4000 giri/min, con una cilindrata di 1754 cmc.

Con il rapido miglioramento della qualità della benzina, il motore venne maggiorato a 1991 cmc portando l’alesaggio a 72 mm e la corsa a 81,5 mm: grazie a un rapporto di compressione di 8,4:1 e a un doppio carburatore Weber sviluppava 75 CV a 4500 giri/min. Questo motore più potente venne installato a bordo di un’auto complessivamente più brillante, l’Aurelia B 20, un coupé 2+2, con un passo accorciato a 2,64 m. Il peso era naturalmente minore, e la linea di Pinin Farina era tale da surclassare la concorrenza.

Poiché una B 10 di serie aveva vinto il Rally del Sestrière, nelle capaci mani di Alberto Ascari e di Luigi Villoresi, era inevitabile che anche la B 20 si sarebbe comportata altrettanto bene. Quattro vetture fecero il loro debutto nel Giro di Sicilia tre giorni prima della presentazione ufficiale del modello al Salone di Torino del 1951. Vinse una sportiva da corsa della Ferrari, ma Castiglioni (che correva sotto lo pseudonimo di ‘Ippocampo’) e Grolla, con le loro Aurelia B 20, si classificarono primo e secondo nella categoria GT. Fra gli spettatori c’erano De Virgilio e il collaudatore Giglio della Lancia, che suggerirono a Gianni Lancia, appassionato di automobilismo sportivo, di entrare ufficialmente nel campo delle competizioni.

Nel giro di poche settimane De Virgilio riuscì a portare la potenza a 90 CV e una B 20 della Casa, guidata da Bracco, si classificò seconda nella Mille Miglia, battuta soltanto dalla potente Ferrari di Villoresi, capace di 220 CV. Altri significativi risultati furono il 12’ posto assoluto e 10 di categoria conquistato sempre da Bracco alla 24 Ore di Le Mans 1951, il 3° di Fagioli nella Mille Miglia del 1952 e la vittoria di Johnny Claes nel più duro di tutti i rally, il Liegi-Roma-Liegi, nel 1953. A questo punto la Lancia aveva già prodotto un’Aurelia seconda serie da 80 CV e una terza serie da 118 CV con un motore di 2451 cm un limite difficilmente superabile senza modifiche radicali. Fu appunto questo propulsore che De Virgilio e Jano svilupparono per equipaggiare i modelli sportivi da competizione D 20 (2962 cmc; 217 CV a 6500 giri/min), D 24 (3284 cmc; 265 CV a 6500 giri/min) e D 25 (3750 cmc; 295 CV a 6500 giri/min).

La B 20 con compressore di Maglioli si piazzò al quarto posto iella Carrera Panamericana del 1952, e Bonetto rimase per due volte senza carburante prima di vincere la Targa Florio.

Il successo della B 20 Fu tale che la Nardi, specializzata in preparazioni, realizzò un modello da corsa monoposto a traliccio, utilizzando motore, trasmissione, sterzo e freni dell’Aurelia, un esemplare che può essere considerato l’antenata di tutte le monoposto promozionali.

Negli ultimi tempi il tetto della B 20 venne abbassato e la carrozzeria alleggerita: si montò un motore da 2451 cmc e così nacque la 2500 GT, che portò nel 1954 Louis Chiron alla vittoria nel rally più famoso del mondo, quello di Montecarlo. Le B 20 erano in grado di raggiungere i 185 km/h e si distinguevano per il loro comportamento sottosterzante, che rese famose le prime Aurelia con motori potenziali. Nella maggior parte dei casi il fenomeno era dovuto ai pneumatici Michelin X, realizzati con una mescola dura per rispetto ai gusti economici dei francesi, che perdevano improvvisamente aderenza. La Lancia, però, ritenendo che dovesse trattarsi di un problema legato alle sospensioni posteriori, montò il retrotreno De Dion che rese le Aure ha, a partire dalla IV serie, le auto più stabili e neutre nel comportamento dell’epoca, Inoltre, per la prima volta, vennero prodotte anche Aurelia Spider con guida a sinistra contraddistinte dalla sigla S.

Il successo dei cuscinetti a guscio British Vandervell di facile sostituzione portò alla loro adozione sui motori della IV se rie, con il telaio accorciato (passo di 2,43 m) nella versione spider, nota come B 24. Le B 24 spider della IV serie rimangono il massimo delle Aurelia, perché la V serie, e subito dopo, la VI, furono dotate di motori più tranquilli, per poter sviluppare una coppia maggiore a scapito della potenza. Le vetture della V e VI serie divennero inoltre più lussuose e di conseguenza più pesanti, lasciando l’originale spider B 24 cori il suo eccezionale parabrezza avvolgente una categoria a sé stante. La spider della V serie, però, era più raffinata, con finestrini a manovella e un comodo tettuccio. Pur troppo, le mancava un po’ dello scatto e delle prestazioni che avevano caratterizzato il modello precedente.

Furono realizzate venti varianti dell’Aurelia, dal taxi a passo lungo alle giardinette con carrozzeria di legno, mentre molti te lai servirono da ‘palestra’ ai migliori carrozzieri d’Italia. Ma dopo il 1955, quando la Lancia fu rilevata da Carlo Pesenti, magna te del cemento, le Aurelia divennero più morbide e più lussuose; nel 1957 fu presentata la Flaminia, concepita dal nuovo direttore tecnico Antonio Fessia come edizione riveduta e corretta della gloriosa Aurelia, che era chiamata a sostituire.