Jo Siffert

Le Mans 1955, il bolide impazzito di Pierre Levegh piomba sulla tribuna affollata. Quasi in diretta, l’onda emotiva della tragedia firma la condanna delle corse automobilistiche sul territorio nella Confederazione Elvetica. La messa al bando delle gare in circuito non impedirà però l’affermazione di piloti svizzeri: uno di questi, dopo Jo Bonnier e prima di Clay Regazzoni, sarà Jo Siffert. Joseph Siffert nasce a Friburgo il 7 luglio del 1936. Figlio di un commerciante, capisce ben presto l’importanza degli affari e del denaro, indispensabili per potere soddisfare la bruciante passione per le corse. L’agone motoristico Siffert lo avverte sin dalla prima giovinezza, quando inizia a cimentarsi nelle gare di moto. Gli amici gli affibbiano il soprannome di «Seppi». Commercia di tutto, dai fiori per i ristoranti alle carcasse di bombe e proiettili da riciclare, pur di mettere insieme il capitale necessario per correre con la sua Gilera 125, distinguendosi già nel 1957 e laureandosi poi, nel 1959, Campione Svizzero della classe 350. L’anno successivo «Seppi» passa alle corse per auto. Acquista una Stanguellini Formula Junior iniziando la stagione al volante della vettura italiana, che però inizia a mostrare i segni del tempo. Passa ad una più moderna Lotus Formula Junior e da lì tenta la scalata alla Formula Uno del tempo. Debutta nella massima formula a Montecarlo nel 1962, su una Lotus 24. L’Ecurie Filipinetti, di proprietà dell’omonimo magnate elvetico, viene creata quasi solo per lui. George Filipinetti lo fa partecipare al mondiale del ‘63, affidandogli una Lotus BRM. Siffert vorrebbe correre ovunque, ma quando sta per partire da Roma (dove si corre il Gran Premio Roma) alla volta di Monaco, per prepararsi alla gara di Montecarlo, Monsieur George glielo vieta. «Seppi» preferisce allora lasciare la Scuderia elvetica e continuare da indipendente, ed i fatti sembrano dargli ragione, dal momento che coglie la vittoria nel Gran Premio di Siracusa, gara non valida per il campionato mondiale, ma che gode di grande risonanza. Nel 1964 corre con un telaio Brabham BT1 1, su cui monta il motore BRM a 8 cilindri, ora di sua proprietà. Passa alla Formula Due e vince, per Rob Walker, il Gran Premio del Mediterraneo a Pergusa per due anni di seguito, nel 1964 e nel 1965, battendo entrambe le volte in volata il mitico Jim Clark. Jo Siffert, nato nella fredda Svizzera, sembra avere un feeling particolare con la infuocata terra di Sicilia, che confermerà ancora al momento della Targa Florio, che pure vincerà nel 1970. Nel 1965 la Formula Uno passa a 3000cc, e Siffert porta in gara l’ultima vera Cooper F1. Il patron Rob Walker gli affida un motore Maserati, ma Jo non è contento. La Scuderia inglese, nel breve volgere di un lustro, passa dalla vittoria nella Coppa Costruttori ad un triste tramonto, che la porterà ad abbandonare la massima formula per dedicarsi alla preparazione di vetture della classe Turismo. Walker comprende la situazione, e acquista per Siffert una fiammante Lotus 49 nuova di zecca, che però subisce subito un incidente, durante una sessione di prove invernali, per poi finire distrutta nell’incendio della sede del team. Sembra la fine, ma come l’araba fenice Rob Walker e Jo Siffert conquisteranno l’ultima vittoria di un team privato in una gara di campionato di Formula Uno, trionfando nel Gran Premio di Inghilterra a Brands Hatch nel 1968, dopo un duello con la Ferrari di Amon. Siffert resterà nel Team Walker sino al 1969, «remando» sui circuiti del mondiale senza grandi risultati. A differenza dei piloti del tempo, che alternano frenetici week-end di corse con periodi di «dolce far niente», Joseph Siffert è sempre più coinvolto, oltre che nelle corse, nei propri affari. Ama dire che il suo hobby preferito è il lavoro. Ricordandosi delle poche chance avute all’inizio della propria carriera, fonda una squadra propria, il «Joseph Siffert Racing Team», e anticipa l’era moderna delle vetture da corsa in affitto. A pagamento porta Chevron B8, B16, Lola, Porsche 911S, vetture Sport, GT o Formula Due sui più disparati campi di gara, per far correre piloti appoggiati dai primi sponsor. Con questi cura anche diretta mente il rapporto, e sempre in anticipo sui tempi diventa discreto testimonial della celebre casa orologiaia svizzera Heuer, che cura il servizio cronometraggio della Ferrari. Indossa modelli della Maison svizzera che diventeranno celebri, come il «Carrera» e l’«Autavia». Lo fa però alla sua maniera, con understatement, conferendo a quello che in effetti è un mero rapporto di affari una apparenza di sincera passione per quegli orologi. E’ in questo periodo che Siffert vive il momento più fulgido della propria carriera. Viene chiamato da Huschke Von Hanstein alla Porsche, per le gare per vetture Sport. Corre con le 907 e le 908 di Stoccarda, nelle versioni berlinetta e spider. Raccoglie successi e scrive pagine leggendarie del Mondiale Marche con il Gulf Team di John Wyer, a bordo delle 917, sfidando le Ferrari e soprattutto il suo compagno di team Pedro Rodriguez, che gli inglesi chiamano «The Mad Mexican» e con cui fa a sportellate durante le gare del ‘70 e del ‘71. Agli inizi dei Seventies, grazie ai rapporti con lo sponsor orologiaio e alla multinazionale svizzera del tabacco Philip Morris (che con il marchio Marlboro si sta affacciando sul mondo delle corse) convince la Porsche a tentare la scalata al ricco challenge nord-americano della Can-Am. La casa di Stoccarda realizza per Siffert una particolare versione della 917, con carrozzeria spider, bocca da squalo e pinne sulla coda. La dipinge di rosso fuoco facendo arrabbiare Ferrari e, con un adesivo del «tabaccaio» appiccicato sul muso, fa il suo debutto a Mont Treblant in Canada. Vuole vincere a Le Mans, e la sua dedizione alla Ventiquattro Ore francese ispira Steve McQueen per il celebre film sulla maratona della Sarthe. E lì si conferma ancora il fiuto per gli affari che in quel discreto gentleman svizzero, asso del volante, è sempre presente. Affitta alla Solar, casa di proprietà dell’attore americano e produttrice del film le vetture del suo Siffert Racing Team: Chevron, Corvette e Porsche 911. Siffert stesso viene pagato per fare da controfigura alla guida delle vetture durante le riprese. Convince i suoi amici piloti a farsi pure loro «noleggiare« dal la Solar, riuscendo a far guadagnare a qualche driver amico più denaro che per un premio di partenza o di arrivo. In Formula Uno, nel 1970, Siffert sperimenta la nuova March 701 del team STP. Va male e passa alla BRM, che vive le ultime due stagioni da grande team, con i modelli P153 e P160. Siffert vince in Formula Uno all’Osterreichring in Austria nel ‘71 ed è alla seconda vittoria nei Grand Prix. Il Campionato Conduttori è vinto da Jackie Stewart, e per festeggiare il secondo titolo mondiale dello scozzese si corre a fine stagione una gara fuori campionato a Brands Hatch, la Corsa dei Campioni. I migliori conduttori del mondiale Formula Uno e del campionato di Formula 5000 si danno appuntamento in un tiepido week-end d’autunno nella verde campagna del Kent. Siffert, che è arrivato quarto nella classifica finale di Campionato, riesce ad agguanta re la pole. Lo affianca il suo compagno di squadra Peter Gethin, vincitore a Monza, su una BRM P160 uguale alla sua. Alcuni dicono che si sta ancora discutendo il contratto di sponsorizzazione fra la Yardley e la BRM, che però non sembra rientrare nei programmi dello sponsor (che seguirà in effetti la McLaren nella stagione ‘72). Siffert pensa di non avere comunque problemi per il proprio sedile in BRM, avendo buoni rapporti con lo sponsor tabaccaio (che infatti poi sarà con BRM nel ‘72), ma vuol affermare il proprio ruolo di aspirante prima guida. Allo start, Siffert non ha buona partenza, pare per un problema al cambio. Si tocca al secondo giro con la March 711 di Ronnie Peterson (il Raikkonen dell’epoca). Ronnie entra ai box e cambia una gomma, Siffert ha fretta, sembra non avere problemi ed inizia a rimontare posizioni, raggiungendo la quarta piazza. Al 14 giro sta ancora recuperando, è solo, e così si presenta alla curva Hawthorn. Poco prima vi è una compressione, pare che una sospensione ceda (alcuni diranno che un gomma si affloscia, forse per il precedente contatto con Peterson, anche se qualcuno avanzerà pure il sospetto di un problema al cambio). La vettura ha una strana reazione, si scompone e senza preavviso cozza contro il terrapieno che delimita la curva. Jo subisce varie fratture, alle gambe ed al bacino: la vettura va a fuoco e Siffert perde la vita, più che per le ferite sofferte per avere respirato l’aria rovente, Cala così, senza un’apparente ragione, il sipario su un grande delle corse. Di lui, oltre a un sorriso sormontato dai tipici baffetti da colonnello inglese, ci resta oggi solo il ricordo del suo casco rosso-crociato.