Umberto Maglioli

Umberto Maglioli è stato l'indimenticato protagonista delle più importanti gare automobilistiche del secondo dopoguerra. Era nato a Bioglio, in provincia di Biella, il 5 giugno del 1928. Figlio di un medico e nipote di un austero e plurilaureato preside di scuola, sembrava destinato a un futuro nel campo dell'ingegneria meccanica. Ben presto però l'ingegneria si era persa per strada (al Politecnico di Torino non andò infatti oltre il primo biennio) lasciando spazio alla meccanica, la passione di tutta la vita. "Un metalmeccanico preparatore con un grande rispetto per la meccanica" amava definirsi; anche quando, ormai al termine di una lunga e affascinante carriera di pilota, delle sue esperienze meccaniche era rimasto soltanto un vago ricordo. "Berenice" (un motore di una motocicletta BMW montato sul telaio di una Fiat Topolino A e, tutto attorno, una carrozzeria dalle linee un po' incerte) era stata la sua prima creatura: un'auto "fai da te", messa insieme con pochi soldi e molto entusiasmo, che comunque qualche pretesa di competitività l'aveva. Con questo mezzo il giovane Maglioli aveva esordito in gara (al Circuito di Novara, nel 1946) ma alla fine della stagione le competizioni che era riuscito a portare a termine erano sicuramente inferiori al numero di pistoni che al suo mezzo aveva dovuto sostituire. Sempre nel campo della meccanica l'occasione della sua vita era invece arrivata più tardi, negli anni '60, quando il grande Colin Chapman, che aveva ben presenti le sue conoscenze tecniche oltre che la sua capacità di pilota, lo aveva contattato per cercare di mettere a punto una rivoluzionaria Formula 1 a trazione integrale. Progetto significativo e lusinghiero, ma che non produsse altro che qualche disegno e lunghe chiaccherate, fra l'altro rese difficoltose dall'inglese poco più che turistico di Maglioli. Il pilota biellese, a quei tempi, era già famoso e con un "palmares" a dir poco invidiabile: aveva vinto il Campionato Italiano della categoria Turismo Internazionale oltre 1500 cc. nel 1952 e, fra le tante gare a cui aveva partecipato, la Targa Florio del 1953 e del 1956, la Carrera Panamericana e il Gran Premio di Imola del 1954. Si era inoltre ripreso, pur con qualche difficoltà, dal grave incidente (l'unico della sua carriera) che lo aveva fermato, il 12 agosto del 1957, durante le prove del Gran Premio di Friburgo, in Germania, quando un altro concorrente, perso il controllo dell'auto, lo aveva centrato in pieno. Era restato fuori dal mondo delle gare quasi due anni, durante i quali si era anche sposato (con una ragazza venezuelana di origine austriaca) e aveva avuto una figlia. Poi, inaspettatamente (per qualcuno), era tornato a correre e a vincere: la 12 Ore di Sebring del 1964, per esempio, o la Targa Florio del 1968. La sua carriera di pilota, iniziata alla fine degli anni '40 come seconda guida di un altro mitico pilota biellese, Giovanni Bracco, terminò nel 1970, alla Targa Florio che tanto amava, e che quell'anno, alla guida di un'Alfa 33, non riuscì a terminare per un'uscita di strada. Un segnale premonitore? Non è dato sapere, ma Maglioli, che era stato pilota ufficiale Lancia, Ferrari e Porsche e che ancora negli anni '60 aveva gareggiato con i più potenti mezzi di allora (la Ford GT 40, per esempio) lo prese come tale e non ne volle più sapere. Lasciò una ribalta, che poco aveva amato, al fratello Claudio, di 12 anni più giovane che ancora per tanti anni avrebbe tenuto alto il nome dei Maglioli nel mondo dell'automobilismo.